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Certificati bianchi

Feed in Tariff, Feed in Premium e sistemi di quote d’obbligo (link all’articolo Gli incentivi statali volti a premiare ed incrementare la cogenerazione e la micro cogenerazione domestica) sono alcuni tra gli incentivi che lo Stato prevede per quanti decidano di fornirsi di sistemi di cogenerazione e micro cogenerazione domestica (link all’articolo omonimo), assieme ai certificati bianchi e ai certificati verdi.

Titoli di Efficienza Energetica (TEE), nei quali rientrano i due certificati, attestano i risparmi energetici conseguenti a vari interventi di efficientamento energetico (che potrebbe andare dalla sostituzione dei vecchi infissi all’installazione di una caldaia a condensazione-link all’articolo Ristrutturazioni e riscaldamento radiante: le soluzioni proposte da Viega-, dal rifacimento del tetto o della coibentazione all’impiego di sistemi basati sulle energie rinnovabili-link all’articolo Un bel bagno caldo!). Implicando il riconoscimento di un contributo economico, rappresentano un incentivo a ridurre il consumo energetico in relazione al bene distribuito.
Entrati in vigore in Italia nel 2005, i certificati bianchi consistono in titoli acquistabili e successivamente rivendibili il cui valore in tep è soggetto a variazioni stabilite anche in funzione dell’andamento del mercato. Il valore energetico di un tep è comparabile col consumo annuale di energia elettrica (link all’articolo Santoni: una vita dedicata al riscaldamento elettrico) di una famiglia media.
Esiste però una differenza tra energia termica ed energia elettrica (a parità di quantità, è necessario un apporto maggiore di energia primaria per produrre la seconda che non la prima): per questo se si consuma minore energia elettrica ci si vede riconoscere un risparmio in termini di tep maggiore che se risparmiassimo sul consumo termico.
L’entità del risparmio energetico da conseguire per accedere al meccanismo incentivante dei certificati bianchi dipende dalla tipologia di progetto sottoscritto e dalla tipologia degli interventi di efficienza che lo compongono: bisogna conseguire un risparmio di 20 tep/anno per interventi soggetti a valutazione cosiddetta standard, un minimo di 40 tep/anno per interventi soggetti a valutazione analitica e almeno 60 tep/anno per interventi da valutare con metodo a consuntivo.

I certificati bianchi riguardano quattro tipi di interventi:risparmio di energia elettrica;

1) risparmio di gas naturale (link all’articolo i gas freon);

2) risparmio di altri combustibili per autotrazione;

3) risparmio di altri combustibili non per autotrazione.

L’osservanza dei limiti di risparmio energetico viene premiato dall’Autorità e da altre fonti governative di finanziamento con un contributo economico, il cui valore viene stabilito annualmente dalla stessa Autorità. Inoltre è possibile guadagnare vendendo i titoli in eccesso grazie al raggiungimento di un risparmio superiore a quello annualmente prestabilito. Di contro, coloro i quali non riescono a ottemperare agli obblighi minimi assunti vengono sanzionati e dovranno acquistare sul mercato altri titoli necessari al raggiungimento dell’obiettivo minimo prefissato.
In Europa i certificati bianchi non sono abbastanza diffusi: infatti, oltre l’Italia, attualmente solo la Francia adotta tale certificazione, mentre altre nazioni o adottano altri schemi di risparmio energetico o si stanno avviando all’introduzione dei certificati bianchi (come Gran Bretagna, Danimarca e Paesi Bassi).

Certificati verdi
I certificati verdi, introdotti dal Decreto Bersani e validi solo per impianti entrati in servizio entro il 12 dicembre 2012, sono una forma di incentivazione pensata per le imprese e le attività che producono energia da fonti convenzionali, come petrolio, carbone, metano (fermo restando l’obbligo di legge per gli stessi soggetti di adoperare fonti rinnovabili per il 2%), e rilasciata dal GSE (Gestore Servizi Energetici).

Quando un impianto “green” riesce a produrre energia emettendo meno CO2 di quanto avrebbe fatto un altro con fonti fossili (petrolio, gas naturale, carbone ecc.) allora conquista dei certificati verdi che quindi corrispondono ad un “tot” di emissioni “risparmiate” al pianeta Terra, che possono essere rivenduti dai gestori a chi dovrebbe produrre una quota di energia mediante fonti rinnovabili, ma non lo fa.
Ciascuno dei certificati verdi ha un valore che convenzionalmente corrisponde alla produzione di 1 MWh di energia rinnovabile. Dato che per rispettare l’obbligo di legge sulle fonti rinnovabili, non potendo immettere in rete energia elettrica pulita, si possono comprare i certificati verdi da altri, ovvio che essi hanno anche un prezzo di mercato. Questi acquisti e vendite avvengono in una borsa gestita da GME a cui si rivolge l’impresa produttrice di energia quando vuole, in verità deve, acquistare i certificati verdi che le mancano per essere a posto con l’obbligo che incombe su di lei (al costo, nel 2006, di circa 125 €/Mwh).
I certificati verdi hanno validità triennale. A partire però dall’anno 2016, il GSE li erogherà su base trimestrale entro il secondo trimestre successivo a quello di riferimento. Intanto gli operatori potranno avere la certificazione mensile della produzione incentivata, del relativo controvalore economico dell’incentivo e della data di erogazione da parte del GSE. Quando la produzione di energia degli impianti non è determinabile su base mensile, o nel caso di impianti di cogenerazione abbinati a teleriscaldamento, gli incentivi verranno erogati su base annuale.

Pensati per incentivare virtuosi processi di produzione di energia, i certificati verdi sono stati concessi anche a “fonti cosiddette assimilate alle rinnovabili”: in questo modo hanno in parte annullato la loro validità e la loro mission di ridurre i gas serra (link all’articolo energia eolica), finendo nelle tasche di chi produceva energia tramite combustione di scorie di raffineria, sanse o incenerimento dei rifiuti (il decreto Bersani è poi stato corretto, ma il danno era già bello che fatto!).
Altre distorsioni si sono verificate per una mancata calibrazione dell’incentivazione rispetto a costi e produzioni, come nel caso dell’eolico, per il quale si è registrato un anomalo e innaturale ampliamento delle aree del territorio nazionale dove era conveniente installare un impianto di questo tipo: un’incentivazione non calibrata sulla base della produzione che si vuole raggiungere, o sui costi che si vogliono sostenere, che ha determinato un effetto di degrado di territori e paesaggi.
E se da un lato hanno spinto troppo certi tipi di energia, i certificati verdi non hanno saputo invece incrementarne altre, come il solare termodinamico, rimasto sostanzialmente sconosciuto e poco adoperato.